GUERRA RUSSO-UCRAINA E PROCESSO PENALE INTERNAZIONALE: GIUSTIZIA SARÀ FATTA. FORSE…

Avv. Stefano Antiga

La guerra in Ucraina pervade oramai le nostre vite: giornali, social network e le solite, immancabili, chiacchiere da bar, con commentatori improvvisati che, nel men che non si dica, hanno vissuto una bizzarra palingenesi mutando rapidamente da esimi virologi, in grado di spiegarci funzionamento e controindicazioni dei vaccini, ad eccellenti politologi capaci di svelare i segreti più reconditi di questa nuova – a detta di molti – stagione imperialistica della Russia putiniana.

Altrettanto immancabilmente, noi giuristi siamo chiamati a fornire un’interpretazione di quanto sta accadendo sul martoriato territorio ucraino a partire dal febbraio scorso. Assistiamo, quindi, agli accorati appelli di Biden e Macron affinché l’iniziatore della “campagna” ucraina – quel Vladimir Putin che con altrettanto fulminea palingenesi è diventato il peggior nemico dell’Occidente (quello stesso Occidente che, in larga misura, gli faceva l’occhiolino o addirittura lo osannava come modello di leadership da imitare) – possa essere condotto dinanzi alla Corte Penale Internazionale ed essere incriminato per le barbarie che, inesorabilmente, a seguito della ritirata delle truppe russe dal Nord dell’Ucraina, emergono echeggiando scenari apocalittici e disumani già visti nel recente passato (da Bucha la memoria corre a ritroso verso Srebrenica, ben oltre la fine del Secondo Conflitto Mondiale, a riprova che davvero la storia si ripete).

Ci si chiede, quindi, che ruolo potrà svolgere la Corte Penale Internazionale (Achtung: da non confondersi con la Corte dell’Aja, che è tutt’altra cosa) in merito ai probabili (prudenza è d’obbligo: siamo giuristi!) crimini commessi dalla Russia sul territorio ucraino. Premetto che non starò qui a ripercorrere le tappe che, nell’ormai lontano 2002, hanno condotto all’istituzione della cosiddetta (per breviloquenza) C.P.I., attraverso la stipula del Trattato di Roma (eh già, come spesso accade, i grandi passi dell’umanità vengono decisi e forgiati nel nostro Paese…).

Venendo subito al nocciolo del discorso: Ucraina e Russia non sono parti del Trattato di Roma. Ecco un primo ferale colpo al cuore degli ottimisti dei processi penali internazionali, quei nostalgici che richiamano a gran voce l’esperienza di Norimberga (ma la storia non ci ha davvero insegnato nulla?). Non figurando tra le parti della citata convenzione, potremmo facilmente (ma erroneamente) escludere che la C.P.I. possa esplicare una qualche forma di giurisdizione sul caso concreto.

Sennonché, proprio l’Ucraina, avvalendosi di un peculiare meccanismo previsto dall’art. 12, comma 2, dello Statuto (“Nell’ipotesi preveduta dall’articolo 13, lettere a) o c) la Corte può esercitare il proprio potere giurisdizionale se uno dei seguenti Stati, o entrambi, sono Parti del presente Statuto o hanno accettato la competenza della Corte in conformità delle disposizioni del paragrafo 3), ancora nel 2014, a seguito del rovesciamento della leadership del presidente da più parti definito “fantoccio” Victor Yanukovich, cui faceva seguito l’occupazione russa (tuttora in essere) della Crimea, accettava formalmente la competenza della C.P.I. per i vari crimini attribuiti alle forze russe proprio su quel territorio.

Si realizzava, in tal modo, quello strano processo di adesione ex post descritto nel citato art. 12 del Trattato di Roma. Possiamo quindi tirare un sospiro di sollievo? Giustizia sarà fatta?

La questione non è così semplice, poiché entra in gioco il vero punctum dolens del crimine cosiddetto di aggressione. Non serve improvvisarsi politologi, o studiosi di crisi internazionali, per capire che quella dello scorso febbraio rappresenta, con ogni probabilità (anche qui prudenza di giurista), l’invasione di uno Stato sovrano ad opera di un altro Stato sovrano.

A latere dei crimini tradizionali, sui quali la C.P.I. è chiamata a giudicare (ossia crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità), nel 2010, attraverso il cosiddetto “emendamento di Kampala” (capitale dell’Uganda per i non addetti ai lavori), di cui al noto art. 8 bis dell’omonimo Accordo, la giurisdizione della C.P.I. è stata estesa al crimine di aggressione.

In particolare, ivi si specifica che l’aggressione (“crime of aggression”) dev’essere perpetrata da qualcuno in grado di dirigere l’azione politica o militare di uno Stato e di esercitare efficacemente un controllo su quell’atto (“by a person in a position effectively to exercise control over or to direct the political or military action of a State”), requisito questo sulla cui sussistenza non paiono esservi dubbi nella fattispecie russo-ucraina.

Il meccanismo, idilliaco in apparenza, subisce però una inesorabile battuta d’arresto nelle previsioni dell’art. 15 bis degli Accordi di Kampala. In parole semplici, la norma in questione esige che aggredito e aggressore siano parti del Trattato di Roma (e che, naturalmente, abbiano firmato l’emendamento, salva la possibilità, prevista dalla clausola di “out-put”, di rifiutare la giurisdizione sul crimen in parola), in caso contrario la sua giurisdizione non potrà essere attivata (sic!). A questo punto, facciamo un passo indietro: ho poco sopra ricordato che Russia e Ucraina non figurano tra le “parti” del Trattato di Roma, ancorché proprio l’Ucraina, nel 2014, avvalendosi di quanto previsto dall’art. 12 comma 2 già echeggiato, abbia espressamente richiesto la giurisdizione della C.P.I.

Rimane però fuori la Russia, il cui leader, qualora, come appare probabile, venga accertato il crime of aggression (ricordo che vi è un’indagine in corso della C.P.I., su iniziativa del suo procuratore Karim Ahmad Khan), non potrà essere condotto alla sbarra relativamente alla fattispecie in parola.

Residuano gli altri crimini sui quali la C.P.I. ha giurisdizione, qualora l’indagine in corso ne accerti la sussistenza. Con buona pace, allora, del tanto acclamato crime of aggression, la cui perseguibilità non pare fattibile nemmeno pensando a tribunali costituiti ad hoc dalle Nazioni Unite (incespichiamo, questa volta, sul diritto di veto che la Russia vanta all’interno del Consiglio di Sicurezza dell’O.N.U.).

A riprova che il diritto internazionale è un grande cantiere aperto, di cui probabilmente noi viventi non vedremo la sua compiuta realizzazione (utopia?).

Last but not least, la Corte Penale Internazionale giudica individui, non Stati. Non tollera processi contumaciali, né in absentia.

Giustizia sarà fatta. Forse…