Privacy e Statuto dei lavoratori: antinomie e influenze sovranazionali

La novella intervenuta nel 2015 ha radicalmente mutato il quadro dello Statuto dei Lavoratori (l.300/1970), comprimendo in modo significativo il perimetro delle tutela colà originariamente previste. Uno degli aspetti toccati riguarda all’art. 4 l’attività di controllo sul prestatore d’opera da parte del datore di lavoro: la versione precedente utilizzava una struttura a permissione (generalizzato divieto con espresse eccezioni), quest’oggi la situazione è specularmente rovesciata, dato che la clausola abilitante al controllo a distanza è, di fatto, una delega in bianco.

Recentemente la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunciata su un caso, posto alla sua attenzione da un ricorrente romeno, che potrebbe dar luogo a profili di contrasto con la normativa italiana post riforma: difatti se da un lato in sede CEDU non viene esclusa la possibilità di controllo, se ne subordina l’esercizio a un’informativa puntuale su tale eventualità.

I possibili profili di antinomia, qualora tale indirizzo si consolidasse e venisse assunto come prospettiva interpretativa della CEDU, si concreterebbero nel venire in essere di una responsabilità risarcitoria in capo al datore di lavoro che non articoli e circostanzi in maniera precisa le modalità attraverso le quali il controllo di dispositivi in uso al prestatore d’opera venga effettuato e la tipologia di informazioni apprese, ciò in particolare per quanto concerne l’accesso alla casella individuale di posta elettronica, ormai largamente diffusa negli ambienti di lavoro minimamente strutturati. Il dato di fatto è che, comunque, una tutela sovranazionale come quella attinta dal ricorrente del caso in parola è molto più lunga, necessario difatti il previo esperimento dei rimedi interni, e comunque non ha carattere conservativo/reale, bensì solo risarcitorio.

Altro tema di grande rilevanza ai fini lavoristici per l’enorme diffusione pratica è quello dell’utilizzo del sistema di chat whatsapp poiché potrebbeavere rilievo ai fini del rapporto di lavoro, per licenziamenti o sanzioni, comunicazioni inviate o ricevute all’interno di gruppi con colleghi o anche solo la presenza online del prestatore d’opera in orari in cui non dovrebbe esserlo.

Alberto Leoncini

Blockchain e criptovalute: evoluzioni e prospettive nell’analisi di Fabrizio Zampieri

Criptovaluta viene ancora segnalato come lemma sconosciuto dal correttore dei programmi di videoscrittura, eppure è il neologismo che indica una vera e propria rivoluzione che sta avvenendo anche nel sistema dei pagamenti e i cui esiti si iniziano a intravvedere nella loro portata deflagrante solo ora; su tali ambiti ci siamo confrontati con Fabrizio Zampieri, analista e consulente finanziario indipendente che sta maturando una specifica attenzione professionale a tale comparto e alle sue dinamiche.

  • Nel pieno della crisi finanziaria del 2008/2009 nasceva Bitcoin, la prima e più nota criptovaluta. Qual è il bilancio a quasi dieci anni di distanza per questo ambito in impetuosa espansione?

A 8 anni dalla nascita del Bitcoin si può affermare che il bilancio è senz’altro positivo, anche oltre le aspettative per chi ha creduto in questa criptovaluta. Da un punto di vista prettamente monetario e speculativo il valore del Bitcoin è volato dai pochi centesimi di dollaro di quotazione degli inizi 2009 ad oltre 7.500 usd di questi giorni (nov. 2017); ma anche per chi avesse acquistato la valuta digitale nemmeno 1 anno fa a circa 1.000 usd per 1 BTC, avrebbe incamerato performance stellari. Non vi nascondo che molte persone sono diventate milionarie solamente investendo poche centinaia di dollari/euro alla nascita del Bitcoin ed anche negli anni seguenti.

Ma, oltre al puro aspetto monetario, il Bitcoin ha dato vita anche ad altri aspetti positivi, ovvero alla nascita della blockchain che secondo il mio punto di vista rivoluzionerà la nostra vita, in moltissimi settori.

  • Le criptovalute hanno dato vita alle piattaforme blockchain, che probabilmente espanderanno la loro sfera di operatività anche ad altri comparti: una trasformazione epocale oggi ancora inespressa, quali le prospettive di maggior interesse rispetto a questa tecnologia? .

Non è facile spiegare il concetto di blockchain alla gente comune (molto spesso nemmeno gli operatori finanziari ne conoscono le caratteristiche ed il funzionamento); potremmo dire con un esempio piuttosto grossolano che se la criptovaluta rappresenta un’automobile, la blockchain è l’autostrada sulla quale corre l’auto, ovvero il Bitcoin e le altre valute digitali non potrebbero funzionare senza la blockchain. Potremmo definire la blockchain come un database dove, tramite la tecnologia peer-to-peer, è possibile conservare e visualizzare tutte le transazioni del Bitcoin avvenute dal 2009 ad oggi, un sistema di verifica aperto a tutti e che non ha bisogno del regolamento delle banche o dei governi. E questa tecnologia può essere applicata a tutti i settori dove sia necessaria una relazione tra persone e gruppi. Sarà possibile per esempio per un risparmiatore comprare azioni e titoli senza l’intervento della banca pagando quindi commissioni più basse e in maniera rapida e veloce; per alcuni atti non sarà più necessaria la presenza del notaio, e lo stesso dicasi per avvocati, commercialisti ed altri consulenti; non sarà più necessario rivolgersi alle agenzie immobiliari per le compravendite di immobili e terreni; sarà anche possibile svolgere votazioni elettorali rimanendose tranquillamente a casa propria e votando tramite il proprio computer. Come vedete, moltissimi ambiti della nostra vita sociale ed economica verranno influenzati dal fenomeno delle blockchain.

Per certi aspetti siamo ancora agli inizi dei cambiamenti epocali che mi aspetto ma, con l’ausilio della tecnologia sempre più avanzata e perfezionata, sono convinto che nei prossimi 2-3 anni assisteremo già a notevoli sviluppi ed innovazioni.

  • È corretto affermare che le criptovalute non siano sequestrabili? Vi sono degli strumenti per evitare un’infiltrazione della malavita transnazionale di questo strumento?.

È vero, una volta che gli euro, i dollari, le sterline e le altre valute vengono convertite in Bitcoin o in altre criptovalute (attualmente ne esistono in circolazione circa 900) e vengono depositate nei wallet (portafogli) personali, diventano impignorabili ed insequestrabili poiché le chiavi d’accesso e di identificazione dei portafogli sono rappresentate da codici alfanumerici che garantiscono quindi l’anonimato del suo titolare.
Conseguentemente c’è il rischio che le criptovalute vengano utilizzate anche da malavitosi internazionali  per regolarizzare compra/vendite di beni e servizi illegali proprio in virtù delle caratteristiche di anonimato delle transazioni. Bisogna però sapere che tutte le transazioni in Bitcoin o in altre criptovalute che avvengono, essendo caratterizzate da uno specifico codice (hash), sono tracciabili e visibili in qualsiasi momento da chiunque possegga un computer ed una linea internet.

Scusate ma prima della nascita del Bitcoin, forse le transazioni finanziarie malavitose non sono mai esistite..??; non dimentichiamo che attualmente le transazioni derivanti da operazioni malavitose (droga, armi, terrorismo, ecc…) avvengono ugualmente tramite i circuiti finanziari tradizionali spesso con la complicità di Banche e Governi…

  • Le criptovalute si basano sulla forza del mercato come luogo di incontro fra domanda e offerta, in prospettiva vede comunque dei margini di intervento regolativo/normativo da parte di soggetti nazionali o trans/sovranazionali?

Anche i prezzi del Bitcoin e delle criptovalute vengono determinati dall’incrocio tra la domanda e l’offerta degli utilizzatori come avviene per qualsiasi scambio di bene e servizio. Basandosi su una tecnologia decentralizzata (il mercato delle criptovalute non è controllato dalle banche centrali) e condivisa (chiunque può partecipare e visualizzare qualsiasi transazione in ogni momento) il rischio è quello che gli Enti regolatori tradizionali vogliano intervenire per cercare di applicare normative non tanto per regolarizzare il mercato ma soprattutto per non perdere il potere ed il controllo su nuove possibili forme di entrate finanziarie e fiscali. Il fenomeno delle criptovalute però si sta sviluppando su scala mondiale e quindi bisognerebbe riuscire a mettere d’accordo numerosissimi Governi e Banche Centrali per contrastarle, cos a che reputo di non facile attuazione.

  • Come valuta i vincoli posti dal governo cinese alla circolazione del Bitcoin nel settembre 2017? Un ‘gioco di potere’ o la paura di un fenomeno potenzialmente in grado di destabilizzare equilibri economico-finanziari consolidati?

Le Autorità cinesi non hanno limitato la circolazione del Bitcoin ma hanno solamente regolarizzato e messo dei paletti alle ICO (Initial Coin Offering), ovvero la nascita di nuove criptovalute che permette ai promotori dei progetti  di raccogliere denaro dietro assegnazione di nuove valute digitali; in altre parole le ICO attualmente danno la possibilità a chiunque di raccogliere denaro senza dover sottostare ai medesimi regolamenti e rigidi vincoli  ai quali devono sottostare per esempio le società che fanno raccolta di capitale tramite emissione di azioni e/o obbligazioni. In parole più semplici, l’emissione di nuove monete non è ancora regolamentata secondo criteri finanziari.

Per ciò che concerne il Bitcoin nello specifico invece la Cina rappresenta uno dei Paesi dove è concentrato il maggior numero di users e miners al mondo, ovvero quelle persone e società che contribuiscono a creare e far funzionare il Bitcoin.

  • Come si indirizza la sua attività consulenziale ai potenziali interessati al comparto?

L’interesse verso il Bitcoin ed il mondo delle criptovalute continua a crescere e sempre più persone, di qualsiasi categoria lavorativa e sociale, chiedono maggiori informazioni e delucidazioni. Oltre a spiegare le caratteristiche tecniche delle criptovalute, delle blockchain, delle ICO, ecc… bisogna indirizzare la clientela anche verso gli Exchange più seri ed affidabili per l’apertura dei wallet e per iniziare a convertire la valuta tradizionale in Bitcoin. Non dobbiamo infatti dimenticare che internet è anche il regno dei truffatori e degli hacker. Il consiglio è quindi quello di rivolgersi ad un professionista serio e preparato nel caso decideste di avvicinarvi a questo nuovo mondo che rivoluzionerà ben presto la nostra vita.

Intervista a cura di Alberto Leoncini

articolo liberamente riproducibile previa indicazione della fonte

Comprare all’asta: consigli per gli acquisti

Cogliamo l’occasione del rinnovo del sito dell’Istituto Vendite Giudiziarie di Treviso    con, fra l’altro, un’utilissima funzione che consente di circoscrivere su mappa il perimetro territoriale entro il quale si vuole ricercare un bene immobile, per proporre ai lettori una breve nota operativa per chi fosse orientato ad acquistare un bene proveniente da un’esecuzione forzata, cioè espropriato al titolare che, per varie ragioni (insolvenza, fallimento, procedura concorsuale parafallimentare etc…) non ha onorato i propri debiti: dall’autovettura per un neopatentato fino a qualche sfizio (imbarcazioni, motociclette, opere d’arte…) si può trovare un po’ di tutto e a prezzi nettamente inferiori a quelli di mercato, ma occorre tenere bene a mente alcuni aspetti di seguito elencati senza pretesa di esaustività:

  • Occorre calcolare gli oneri fiscali correlati all’acquisto, per i quali è opportuno consultare un commercialista;
  • Quando si compra, lo si fa senza garanzia per vizi, cioè se emergono vizi sul bene acquisito essi non possono essere contestati come si farebbe in un acquisto sul libero mercato (art.2922 C.C.);
  • Se l’acquisto è di importo significativo è consigliata l’assistenza di professionisti di propria fiducia quali consulenti di parte che siano in grado di valutarne lo stato di conservazione (p.es. architetto o geometra per un immobile) del bene e il supporto di un legale per le fasi di presentazione dell’offerta ed eventuale aggiudicazione;
  • Leggere con attenzione la documentazione correlata al bene, in particolare se vi siano oneri a carico dell’aggiudicatario con riferimento allo stato di occupazione di un immobile o, ad esempio, attività di smaltimento, trattamento e gestione di residui, rifiuti o messe a norma/adeguamenti in genere;
  • Dove posso trovare i beni in vendita? Internet è ormai lo strumento principe per la circolazione delle informazioni in questo senso, sui siti dei Tribunali alla voce ‘vendite giudiziarie’ potete trovare le procedure aperte con la relativa documentazione, ma sono facilmente rinvenibili siti generalisti che raccolgono le procedure esecutive su base nazionale. Per evitare possibili incoerenze nei dati, una volta individuato il bene cui si è interessati, è consigliabile controllarne dati e informazioni sui siti ufficiali istituzionali.
  • Qui un articolo di approfondimento

L’avv. Alberto Leoncini intervistato da SOS WP su GDPR e privacy

L’avv. Alberto Leoncini è stato intervistato da Andrea Di Rocco per il canale youtube di SOS WP in materia di privacy e GDPR (Reg. UE 679/2016), sia con riferimento all’ambito on line che off line.

Cashback e fidelizzazione del consumatore: per un inquadramento dogmatico e teorico

La più promettente frontiera della fidelizzazione del consumatore, sia on line che off line nel commercio di prossimità, è probabilmente il cashback, ovverosia la restituzione in denaro di una percentuale/quota sul volume d’affari acquistato presso un circuito, una catena o un canale d’acquisto. Particolarmente promettente, si diceva, perché consente di indurre il consumatore a integrare le proprie attività di acquisto elettronico con quelle tradizionali.

Al fine di inquadrare la fattispecie vi è da dire che l’ottica del fenomeno è quella di considerare il volume di spese generato dal consumatore nel suo paniere complessivo, indipendentemente dal contratto stipulato di volta in volta: se è vero che la compravendita è sicuramente la regina, ai fini del cashback possono valere anche altri contratti come l’assicurazione per l’auto, i canoni di un leasing o pacchetti turistici per le vacanze. Questo dato di partenza è centrale per analizzare giuridicamente la fattispecie, difatti va categoricamente esclusa la nozione di ‘sconto’ (quindi, giuridicamente, di riduzione del prezzo quale corrispettivo del negozio traslativo posto in essere dalle parti) poiché il cashback non incide sul contratto intercorso tra le parti ma si situa a valle dello stesso, in un momento futuro e incerto (quando il consumatore avrà raggiunto le soglie minime per la corresponsione) e in dipendenza da altri e ulteriori contratti stipulati con soggetti terzi.

Trattandosi di società orientate al profitto, deve essere esclusa l’applicabilità dell’istituto del ristorno mutualistico di cui all’art. 2545bis C.C., che in linea di principio al cashback sarebbe assimilabile e maggiormente affine. Potrebbe invece essere verosimilmente evocabile il ristorno se ci si collocasse all’interno di un gruppo cooperativo paritetico o di una rete di imprese a vocazione sociale non orientate al profitto.

Senza limitarsi a un richiamo generico all’art. 1322 C.C. in materia di autonomia negoziale e meritevolezza di tutela, l’unico istituto a qualche titolo evocabile è quello della donazione remuneratoria di cui all’art. 770 C.C.. Nell’istituto appena richiamato il tratto della liberalità proprio della donazione sia, nella sostanza, recessivo residuando solo il nocciolo primigenio dell’istituto donativo, cioè la spontaneità (nullo iure cogente), difatti al secondo comma, la legge si incarica di esplicitare che persino la conformità agli usi, fonte di rango più basso (art. 1 preleggi), è idonea a escludere la donazione, proprio sull’assunto che l’agente operi nella convinzione di adempiere a un dovere in qualche modo giuridico o percepito come tale nella comunità di riferimento. Se è dunque vero che qui ci troviamo di fronte a un contratto con reciproci diritti e obblighi, spesso stipulato in via adesiva con il soggetto che promette il cashback, che può dunque rientrare a pieno titolo nel dipanarsi dell’autonomia negoziale degli operatori, vi è però da guardare alla sproporzione spesso evidente fra la somma rimborsata all’acquirente del servizio e quella dallo stesso corrisposta per il suo acquisto (la somma restituita può arrivare nella più ottimistica delle ipotesi al 10%, ma nella stragrande maggioranza dei casi non supera il 2-4%), a tal proposito si potrebbe ricuperare la previsione dell’art. 770 C.C. laddove parla di servizi resi: in un’ottica di interpretazione evolutiva del sistema, proprio la globalità dell’ottica considerata dalle operazioni di cashback potrebbe essere utilmente sussunta nella previsione normativa, rientrando quindi l’operazione economica nelle piccole dazioni monetarie della vita comune.

Sul piano ricostruttivo, quindi, appare più fondato parlare di una fattispecie complessa a formazione progressiva costituita da un contratto tipico e una liberalità d’uso giuridicamente meritevole di tutela in un quadro di autonomia contrattuale.

Avv. Anna Rita Freda

Avv. Alberto Leoncini

L’avv. Freda a ViralOctopus Bootcamp

Riportiamo di seguito l’intervista all’avv. Anna Rita Freda in materia di adeguamento al regolamento GDPR, da pochi giorni in vigore rilasciata a ViralOctopus bootcamp

GDPR: informazioni utili con l'Avv Anna Rita Freda.Scopri come gestire l'adeguamento a questa norma nel modo corretto con l'aiuto e i consigli di chi se ne occupa ogni giorno!

Pubblicato da Viral Octopus su Mercoledì 23 maggio 2018

Data mining e GDPR: il valore dei dati per l’impresa

L’Avv. Freda è stata invitata al Master in GIURISTA INTERNAZIONALE DI IMPRESA, Università degli Studi di Padova, sede di Treviso, per un intervento in materia di “Data mining e GDPR: il valore dei dati per l’impresa”. Si pubblicano le slide condivise

Viaggio semiserio tra la burocrazia e la società in trasformazione: incontro con Italo Franco

Il giorno martedì 9 gennaio 2018 alle ore 18,00 presso la libreria San Leonardo (Piazza Santa Maria dei Battuti 16, Treviso) verrà presentato il testo ‘Viaggio semiserio tra la burocrazia e la società in trasformazione, Da Kafka in salsa italiana alla società disorientata’ (Cleup, Padova) del giudice Italo Franco, dialogheranno con l’autore l’avv. Anna Rita Freda e Alberto Leoncini. Porterà il saluto dell’amministrazione civica, che patrocina l’evento, l’assessore Luciano Franchin. Seguirà dibattito.

Il testo costituisce la sintesi e il punto di arrivo di una lunga esperienza da operatore della giustizia, che ha impegnato per molti anni il giudice Franco presso il TAR del Veneto, consentendogli di analizzare e sedimentare le evoluzioni dei più cruciali temi per la cittadinanza: il rapporto fra cittadino e perimetro pubblico, evoluzione dei pubblici poteri nella globalizzazione, diritti fondamentali e modello economico. Un testo che affronta con chiarezza espositiva e linearità i più urgenti snodi del dibattito sociale e giuridico contemporaneo, vagliandoli con sguardo critico e acume prospettico coniugando un’ottima accessibilità anche per un pubblico generalista.

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Condividiamo alcune immagini dell’incontro con il giudice Italo Franco del 9 gennaio 2018  qui con il dott. Alberto Leoncini e l’assessore alla cultura del Comune di Treviso Luciano Franchin.

Le foto sono gentilmente concesse dall’autrice, MariaEster Nichele.

assessore Franchin, giudice Italo Franco e dott. Alberto Leoncini
assessore Franchin, giudice Italo Franco e dott. Alberto Leoncin
dott. Alberto Leoncini, giudice Italo Franco e assessore Franchin

Parto anonimo e diritto del figlio di conoscere le proprie origini

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 278 del 2013, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 28, comma 7 della legge n. 184/1983 Diritto del minore ad una famiglia[1], nella parte in cui non prevede la possibilità per il giudice di sentire, su richiesta del figlio, la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata ai sensi dell’art. 30 D.p.r. n. 396/2000, ai fini di un’eventuale revoca di tale dichiarazione.

La Consulta ha riconosciuto così il diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini ed ha appuntato rilievi sull’irreversibilità del segreto, demandando al legislatore nazionale l’individuazione di modalità di accertamento della perdurante attualità della scelta della madre.

La pronuncia è stata sollecitata da una decisione della Corte Europea dei diritti dell’uomo (caso Godelli c. Italia sentenza 25.9.2012). La Corte EDU ha ascritto il diritto di conoscere la propria origine biologica nell’ambito di applicazione dell’art. 8 CEDU sul rispetto alla vita privata e familiare e, dunque, ha riconosciuto l’essenzialità dell’informazione per lo sviluppo della vita privata e dell’identità personale.

La Corte EDU ha ravvisato la violazione della vita privata nell’assenza di forme di bilanciamento tra il diritto della madre all’anonimato perpetuo, escludente qualsiasi rilevanza giuridica all’istanza dell’adottato volta alla reversibilità del segreto, ed il diritto del figlio di conoscere le proprie origini.

In attesa dell’intervento legislativo, alcuni Tribunali hanno dato immediata attuazione alla decisione della Corte costituzionale, delegando il Giudice a verificare l’attuale volontà della madre biologica. Altri invece, stante l’assenza di una legge che ne disciplinasse le modalità, non hanno consentito di compiere ricerche e interpellare la madre che aveva deciso di partorire nell’anonimato e di dare in adozione il proprio figlio.

Le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione, con sentenza 25 gennaio 2017, n. 1946, ritenendo che la sentenza del 2013, con la quale è stata dichiarata l’incostituzionalità dell’art. 28 della legge sull’adozione contemplasse la possibilità d’interpello della madre da parte del giudice su richiesta del figlio, hanno statuito che il giudice non può negare al figlio l’accesso alle informazioni sulle sue origini per il solo fatto che la madre naturale aveva dichiarato al momento del parto di voler rimanere anonima, senza avere precedentemente verificato in maniera rispettosa e discreta la volontà della donna di mantenere ancora l’anonimato e dunque di non voler revocare la propria precedente e lontana nel tempo dichiarazione.

Sostanzialmente, esisterebbe nell’ordinamento questo principio che fissa un punto di equilibrio tra la posizione del figlio adottato e i diritti della madre, che deve essere applicato dagli organi giurisdizionali in attesa che il legislatore intervenga[2].

In tema di parto anonimo, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 2013, ancorché il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa, sussiste la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale, di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione, e ciò con modalità procedimentali, tratte dal quadro normativo e dal principio somministrato dalla Corte costituzionale, idonee ad assicurare la massima riservatezza e il massimo rispetto della dignità della donna; fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorché la dichiarazione iniziale per l’anonimato non sia rimossa in seguito all’interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identità[3].

***

La disciplina del cd. parto in anonimato si interseca con quella del diritto di accesso agli atti e con il D.Lgs. 196/2003 Codice per la protezione dei dati personali.

L’art. 30 d.P.R. 396/2000[4] attribuisce rilevanza giuridica alla volontà della donna che ha partorito di non essere nominata nella dichiarazione di nascita.

Tale rilevanza si esplica in una serie di effetti che trovano fonte in diverse disposizioni, tra questi vi è il divieto di accesso alle informazioni relative alla madre di cui all’art. 28 co. 7 L. 184/1983, riscritto dall’art. 177 co. 2 del Codice per la protezione dei dati personali, inquadrando, a parere di scrive erroneamente e semplicisticamente, la questione della conoscenza delle origini nel sistema complessivo del trattamento dei dati personali e quindi nell’ambito della comunicazione all’interessato dei dati sensibili propri e di terzi.

In questo contesto, però, secondo i critici, a venire in considerazione non sarebbe un diritto alla mera riservatezza preso in considerazione dalle norme del Codice della protezione dei dati personali, ma l’effetto legale, come sostenuto anche dalla Prof.ssa Elisa de Belvis in un suo recente contributo[5]scaturente dalla manifestazione di volontà in ordine all’anonimato, posto a tutela proprio della situazione giuridica soggettiva presidiata dall’istituto del cd. parto anonimo. Quindi, si dovrebbero applicare le regole dell’art. 93 co. 2 e 3 D.Lgs. 196/2003[6].

Il diritto alla conoscenza delle proprie origini biologiche è un diritto fondamentale della persona che rientra nel diritto all’identità personale. Esso si contrappone al diritto della madre che non possa o non voglia tenere presso di sé il proprio neonato. Tale ultimo diritto, non va dimenticato, è posto dall’ordinamento a salvaguardia sia della vita del bambino, fornendo una valida alternativa a soluzioni diverse come l’interruzione volontaria della gravidanzasia della salute propria della madre e del bambino intesa quale vita fisicamente sana attraverso l’accesso a strutture sanitarie adeguate che consentano di partorire in un contesto protettosia della vita del bambino sotto l’aspetto di esistenza psichicamente sana considerato che tra gli effetti normativi della dichiarazione materna vi è il tempestivo inserimento del nato in un ambiente affettivamente idoneo tramite l’adozione[7].

[1] 28. 1. Il minore adottato è informato di tale sua condizione ed i genitori adottivi vi provvedono nei modi e termini che essi ritengono più opportuni.

  1. Qualunque attestazione di stato civile riferita all’adottato deve essere rilasciata con la sola indicazione del nuovo cognome e con l’esclusione di qualsiasi riferimento alla paternità e alla maternità del minore e dell’annotazione di cui all’articolo 26, comma 4.
  2. L’ufficiale di stato civile, l’ufficiale di anagrafe e qualsiasi altro ente pubblico o privato, autorità o pubblico ufficio debbono rifiutarsi di fornire notizie, informazioni, certificazioni, estratti o copie dai quali possa comunque risultare il rapporto di adozione, salvo autorizzazione espressa dell’autorità giudiziaria. Non è necessaria l’autorizzazione qualora la richiesta provenga dall’ufficiale di stato civile, per verificare se sussistano impedimenti matrimoniali.
  3. Le informazioni concernenti l’identità dei genitori biologici possono essere fornite ai genitori adottivi, quali esercenti la potestà dei genitori, su autorizzazione del tribunale per i minorenni, solo se sussistono gravi e comprovati motivi. Il tribunale accerta che l’informazione sia preceduta e accompagnata da adeguata preparazione e assistenza del minore. Le informazioni possono essere fornite anche al responsabile di una struttura ospedaliera o di un presidio sanitario, ove ricorrano i presupposti della necessità e della urgenza e vi sia grave pericolo per la salute del minore.
  4. L’adottato, raggiunta l’età di venticinque anni, può accedere a informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici. Può farlo anche raggiunta la maggiore età, se sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica. L’istanza deve essere presentata al tribunale per i minorenni del luogo di residenza.
  5. Il tribunale per i minorenni procede all’audizione delle persone di cui ritenga opportuno l’ascolto; assume tutte le informazioni di carattere sociale e psicologico, al fine di valutare che l’accesso alle notizie di cui al comma 5 non comporti grave turbamento all’equilibrio psico-fisico del richiedente. Definita l’istruttoria, il tribunale per i minorenni autorizza con decreto l’accesso alle notizie richieste.
  6. L’accesso alle informazioni non è consentito se l’adottato non sia stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale e qualora anche uno solo dei genitori biologici abbia dichiarato di non voler essere nominato, o abbia manifestato il consenso all’adozione a condizione di rimanere anonimo.
  7. Fatto salvo quanto previsto dai commi precedenti, l’autorizzazione non è richiesta per l’adottato maggiore di età quando i genitori adottivi sono deceduti o divenuti irreperibili.

[2] G. Vassallo, Parto anonimo: nell’attesa della legge, il diritto del figlio di conoscere le proprie origini va garantito, commento a Cassazione Civile, SS.UU., sentenza 25/01/2017 n° 1946, 13.02.2017, www.altalex.com

[3] Principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite nella sentenza n.1946/2017.

[4] 30. Dichiarazione di nascita.

  1. La dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l’eventuale volontà della madre di non essere nominata.
  2. Ai fini della formazione dell’atto di nascita, la dichiarazione resa all’ufficiale dello stato civile è

corredata da una attestazione di avvenuta nascita contenente le generalità della puerpera, nonché le indicazioni del comune, ospedale, casa di cura o altro luogo ove è avvenuta la nascita, del giorno e dell’ora della nascita e del sesso del bambino.

  1. Se la puerpera non è stata assistita da personale sanitario, il dichiarante che non è neppure in grado di esibire l’attestazione di constatazione di avvenuto parto, produce una dichiarazione sostitutiva resa ai sensi dell’articolo 2 della legge 4 gennaio 1968, n. 15.
  2. La dichiarazione può essere resa, entro dieci giorni dalla nascita, presso il comune nel cui territorio è avvenuto il parto o in alternativa, entro tre giorni, presso la direzione sanitaria dell’ospedale o della casa di cura in cui è avvenuta la nascita. In tale ultimo caso la dichiarazione può contenere anche il riconoscimento contestuale di figlio naturale e, unitamente all’attestazione di nascita, è trasmessa, ai fini della trascrizione, dal direttore sanitario all’ufficiale dello stato civile del comune nel cui territorio è situato il centro di nascita o, su richiesta dei genitori, al comune di residenza individuato ai sensi del comma 7, nei dieci giorni successivi, anche attraverso la utilizzazione di sistemi di comunicazione telematici tali da garantire l’autenticità̀ della documentazione inviata secondo la normativa in vigore.
  3. La dichiarazione non può essere ricevuta dal direttore sanitario se il bambino è nato morto ovvero se è morto prima che è stata resa la dichiarazione stessa. In tal caso la dichiarazione deve essere resa esclusivamente all’ufficiale dello stato civile del comune dove è avvenuta la nascita.
  4. Ai fini dell’applicazione delle disposizioni del presente articolo, gli uffici dello stato civile, nei loro rapporti con le direzioni sanitarie dei centri di nascita presenti sul proprio territorio, si attengono alle modalità̀ di coordinamento e di collegamento previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui all’articolo 10, comma 2.
  5. I genitori, o uno di essi, se non intendono avvalersi di quanto previsto dal comma 4, hanno facoltà di dichiarare, entro dieci giorni dal parto, la nascita nel proprio comune di residenza. Nel caso in cui i genitori non risiedano nello stesso comune, salvo diverso accordo tra di loro, la dichiarazione di nascita è resa nel comune di residenza della madre. In tali casi, ove il dichiarante non esibisca l’attestazione della avvenuta nascita, il comune nel quale la dichiarazione è resa deve

procurarsela presso il centro di nascita dove il parto è avvenuto, salvo quanto previsto al comma 3.

  1. L’ufficiale dello stato civile che registra la nascita nel comune di residenza dei genitori o della madre deve comunicare al comune di nascita il nominativo del nato e gli estremi dell’atto ricevuto.

[5] E. de Belvis, Il diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini biologiche, in Famiglia e diritto 10/2017, p. 935 ss.

[6] Art. 93. Certificato di assistenza al parto

  1. Ai fini della dichiarazione di nascita il certificato di assistenza al parto è sempre sostituito da una semplice attestazione contenente i soli dati richiesti nei registri di nascita. Si osservano, altresì, le disposizioni dell’articolo 109.
  2. Il certificato di assistenza al parto o la cartella clinica, ove comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata avvalendosi della facoltà di cui all’articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 3novembre 2000, n. 396, possono essere rilasciati in copia integrale a chi vi abbia interesse, in conformità alla legge, decorsi cento anni dalla formazione del documento.
  3. Durante il periodo di cui al comma 2 la richiesta di accesso al certificato o alla cartella può essere accolta relativamente ai dati relativi alla madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata, osservando le opportune cautele per evitare che quest’ultima sia identificabile.

[7] Il corsivo serve a mettere in evidenza l’utilizzo letterale dei contenuti dell’approfondito lavoro della Prof.ssa de Belvis, già cit. in nota. 3, p. 938-939.